Horst Fantazzini
(nella foto) Nacque ad Altenkessel (regione della Saar, Germania, al confine con la Francia) il 4 marzo 1939, da Alfonso “Libero” Fantazzini, partigiano anarchico bolognese, muratore; e Bertha Heinz, operaia.
Horst significa “rifugio”: questo nome fu scelto dal padre, rifugiato politico.
Libero riuscì ad occuparsi a malapena della sua famiglia, costretto in una condizione di eterno latitante, rapinatore per finanziare la resistenza, era ricercato dalle polizie fasciste di mezza Europa, Gestapo compresa.
La sorella maggiore di Horst, Pauline, fu spedita a Bologna dai parenti prima della fine della guerra. Bertha cercò di sopravvivere e di mantenere il piccolo Horst lavorando al mercato ortofrutticolo di giorno e cucendo borsellini di notte. Trascorse i primi anni della sua vita sotto i bombardamenti, nel 1945 il suo ritorno in Italia e il ricongiungimento con il resto della famiglia. Bologna era distrutta. Questa esperienza devastante lo segnerà per tutta la vita.
Tentò un riscatto nel pugilato, e nel ciclismo che praticò con ottimi risultati, vincendo gare regionali. Era anche un brillante studente, amante della lettura, con ottimi voti nelle materie umanistiche e in disegno. A causa delle condizioni economiche non agiate della famiglia, sovrapponendo studi e lavoro venne assunto fin dal compimento di 14 anni, come fattorino, operaio, impiegato. Ma la misera paga e le condizioni umilianti di lavoro, lo indussero ad abbandonare la vita del salariato per altre ambizioni. Prima del “grande salto” compì una serie di furtarelli di biciclette e moto, poi automobili. Fu fatalmente attratto dalla vicenda della Banda Bonnot.
A 18 anni si sposò con Anna che ne aveva soltanto 17; per garantire alla sua famigliola condizioni dignitose, ma anche la prima vacanza al mare dopo anni di ristrettezze, compì una rapina con una pistola giocattolo all’ufficio postale di Corticella. Venne arrestato sull’automobile rubata, gli vennero inflitti 5 anni di carcere. Era il 1960.
Nel 1965 durante una licenza concepì il secondo figlio, ma a causa delle avverse condizioni, Anna che soffriva di problemi di salute lo lasciò per tornare nella sua città, Napoli, dove venne ricoverata per cure.
Horst di nuovo in libertà definitiva lavorò per qualche tempo come pizzaiolo e barista, ma tornò a rapinare le banche: fu la volta di una banca di Genova. Non riuscì, perché venne arrestato prima di compiere il colpo.
Trascorse qualche mese in galera, durante i quali apprese che la madre era morta per infarto, ma non gli consentirono di andare al suo funerale. Horst decise di evadere per la prima volta usando il più classico dei modi: lenzuola annodate. E decise che non avrebbe avuto mai più ripensamenti: ecco perché e come diventò rapinatore.
Era il 1967, da mesi latitante, compì numerosi colpi nel nord Italia, durante uno dei quali, dispiaciutosi per una cassiera svenuta (il giorno seguente gli inviò un mazzo di rose tramite un’agenzia di spedizioni) diventò “il bandito gentile”; poi decise di espatriare rifugiandosi dai parenti in Germania.
Tra il 1967 e il 1968 scrisse lettere di scherno alla polizia italiana, gli venne affibbiato il nomignolo di “primula rossa”. Cosa faceva il pericoloso bandito ricercato dalle polizie di mezza Europa? Appena raggiunse Parigi, andò al Louvre per vedere la Gioconda. Risiedeva a Mannheim in una lussuosa villa con la sua giovane compagna… dandy raffinato, elegantissimo, alla guida di macchine sportive, faceva la spola tra Francia, Germania e Italia incassando parecchi milioni che portava con sé nei voli aerei in prima classe.
Nel 1968 fu di nuovo arrestato, mentre cercava di rapinare una banca di Saint Tropez. Trascorse alcuni anni torturato e vessato nelle galere francesi (dove vigevano regole particolarmente inumane, alcuni detenuti furono ghigliottinati dopo una rivolta particolarmente violenta a Clairveaux), fu rinchiuso nelle Baumettes a Marsiglia, tentò ancora di evadere ad Aix en Provence con le catene ai polsi. Il “fratellino di Van Gogh” non corse più per molto tempo. Da allora le porte della gabbia si chiusero definitivamente: da quel momento non avrà mai più la libertà definitiva.
Horst continuava a sfottere i giudici “gli ermellini da guardia” durante le udienze, e per questo aggiunsero altri (molti) anni alla sua carcerazione.
Nel 1972 per interessamento dell’avvocato Mario Giulio Leone venne estradato in Italia ritrovando sua moglie e i suoi figli, nel 1973 tentò di evadere dal carcere di Fossano (Cuneo) ferendo tre guardie e tenendone sotto tiro altre due, ma era un bluff: in realtà aveva soltanto una Mauser di piccolo calibro, con pochissimi colpi in canna dei quali solo due rimasti dopo il ferimento degli sbirri. Invece per lui si scatenò l’inferno: uscendo dal carcere con gli ostaggi, prima di riuscire a salire sull’agognata Giulietta che lo porterà fuori dalle mura, venne aggredito dai cani lupo e ferito quasi mortalmente con il fuoco dei tiratori scelti, si salvò per miracolo proprio grazie ad un cane che gli si parò davanti. Rimase sordo dall’orecchio destro, e probabilmente con micro-lesioni tali da causare l’aneurisma che gli risulterà fatale.
Venne operato, ma non gli estrassero tutti i proiettili, che si porterà in corpo per molti anni in una miriade di schegge e scheggine. Iniziò un calvario fra i penitenziari di tutta Italia, Horst “desaparecido” venne tenuto in infermerie poi dimesso e spedito in un altro penitenziario, poi in un altro ancora, senza cure adeguate e senza avvertire la famiglia e talvolta nemmeno l’avvocato. Leggi la testimonianza di Sabatino Catapano.
Un anno dopo a Sulmona, nel 1974, tentò di evadere di nuovo. Saltò il muro di cinta di cinque metri, coi piedi fratturati si trascinò nella chiesa più vicina sequestrando il prete, per chiedere in cambio di essere operato.
Proprio in quell’anno, 1974, nel carcere di Alessandria una rivolta venne stroncata nel sangue, con sette detenuti uccisi e 14 feriti: collaudo di una stagione di pugno di ferro.
Nel 1975 Giorgio Bertani editore di Verona, grazie all’interessamento di Franca Rame (Soccorso Rosso) pubblicò “Ormai è fatta!, cronaca di un’evasione” (recentemente ripubblicato da El Paso – Nautilus) resoconto minuzioso e lucidissimo di quel 23 luglio 1973 a Fossano, scritto da Horst con una macchina per scrivere in sole 48 ore. Al racconto di Horst venne aggiunta una bellissima appendice di poesie che egli da sempre scriveva in cella.
Libero Fantazzini a Bologna affrontò a muso duro vari giornalisti forcaioli, e occupò la Torre degli Asinelli per protestare contro lo Stato che imprigionava i compagni.
Erano anni intensi, di solidarietà coi prigionieri; gli anarchici e molti compagni comunisti si mobilitarono per Fantazzini. La sua compagna di allora Valeria Vecchi fu condannata a 7 anni di carcere per avere tentato di farlo evadere, e altri compagni dei collettivi di supporto ai detenuti subirono pesanti condanne. Anche la tennista anarchica Monica Giorgi rimase vittima di una feroce repressione, accusata di far parte di “Azione Rivoluzionaria”, poi assolta con formula piena.
A metà degli anni ’70 grazie al generale Dalla Chiesa inaugurò il bunker Fornelli dell’Asinara, dove vennero spediti tutti i ribelli, comunisti e anarchici. Iniziò una collaborazione con tutti i compagni anche delle Brigate Rosse e di Prima Linea, basata sull’amicizia e sulla solidarietà di prigionieri nella situazione contingente. La leggenda poi riportata dai giornali, che Horst sarebbe stato simpatizzante delle Brigate Rosse è falsa: si avvicinò ai suoi militanti come uomo, ne era ideologicamente troppo lontano e mai sposò la loro causa, ritenendosi sempre anarchico individualista.
Nel 1978 dopo il feroce pestaggio della polizia che lo ridusse quasi in coma, fece uscire clandestinamente e senza attendere il parere delle Brigate Rosse il documento sulla rivolta dell’Asinara, poi pubblicato dalle edizioni “Anarchismo” col titolo: “Speciale Asinara”.
Condivise un importante periodo di prigionia con Sante Notarnicola. Seguirono anni di carcere duro e di rivolte con le “moka esplosive” che facevano breccia nei muri, nei penitenziari di tutta Italia, da Trani a Termini Imerese, da Palmi a Varese, carcere reso più “morbido” solo nel 1985 con l’abolizione del regime speciale (simile al 41 bis odierno).
Il pentitismo dilagante e l’eroina diffusa anche fra compagni portarono, in un decennio, allo sgretolamento di lotte, esistenze, pulsioni, corrispondenze e passioni, più di quanto riuscirono a farlo i metodi coercitivi più cruenti.
Horst era contro le tossicodipendenze (“chi ha la siringa piantata al posto del cervello”) e si dichiarò in varie occasioni contro il pentitismo e i suoi fautori (con una serie di poesie molto amare) e ribaltando un motto carcerario, affermò: “Sino a quando un uomo non si rassegna è ancora recuperabile”.
Nel 1985 suo figlio maggiore venne incarcerato per quasi due anni sulla parola di un balordo; il grande vecchio Libero Fantazzini non resse il colpo e morì (la crudeltà dell’apparato repressivo non consentì a Horst di andare al suo funerale); la sua compagna Maria Zazzi, anarchica piacentina combattente della guerra di Spagna, lo seguirà nel 1993.
Nel 1989 Horst che non aveva mai perso il coraggio e la voglia di vivere, studiava nel carcere di Busto Arsizio e stava per laurearsi in Letteratura presso la facoltà di Bologna; ma l’antico amore per la fuga vinse quello sui libri e lo indusse ad approfittare di una licenza per allontanarsi. Resterà latitante per un anno, ripreso all’inizio del 1991 sul litorale romano (nonostante l’arresto sia avvenuto senza resistenza da parte sua, mentre portava i cani a passeggio, venne dipinto dal “Messaggero” come pericoloso terrorista) e trasferito nel carcere di Alessandria, dopo un inutile tentativo di strappargli una confessione, qui rimarrà per dieci anni, mantenendo corrispondenze, supportando tesi di laurea e progetti di altri detenuti, e scrivendo bellissimi racconti al computer che si guadagnò nel 1995 coi soldi del primo premio per un concorso letterario (racconto “L’uomo cancellato”). Lavorava come grafico pubblicitario per il Comune di Alessandria e produsse ottimi elaborati, locandine, panphlet, ma soprattutto disegni di fantasia che vennero esposti in alcune mostre a Bologna ed altre città. Fu proprio nel carcere di Alessandria che iniziò la sua relazione con Patrizia Diamante “Pralina” (come racconta “L’ultimo colpo di Horst Fantazzini” e l’articolo pubblicato da “Ristretti Orizzonti”).
Varie vicende giudiziarie causate da un processo fondato su un teorema accusatorio, che ipotizzava la sua partecipazione ad una fantomatica formazione eversiva, impedirono che ottenesse le prime licenze.
Nel 1999 fu trasferito a Bologna, la libertà si avvicinava per merito di un film: “Ormai è fatta!” (regia di Enzo Monteleone) liberamente tratto dal suo libro, di cui Horst approvò la sceneggiatura, e di una campagna per la sua liberazione messa in atto dalla sua ultima compagna, Pralina (fondatrice del Comitato per la liberazione di Horst Fantazzini)(nell’immagine, disegno di Pralina) e dal figlio maggiore, che coinvolse tutto il movimento anarchico e portò la storia di Horst a conoscenza di molte persone. Molti giornalisti intervistarono Horst, l’intervista più lunga e completa fu realizzata per una puntata del Maurizio Costanzo Show, qui viene proposta la versione integrale. Riportiamo qui anche le interviste pubblicate sui settimanali Boxer e Avvenimenti, quest’ultima fu poi mandata in onda su TeleMontecarlo. Case editrici importanti s’interessarono della ripubblicazione del suo libro, che Horst avrebbe riproposto volentieri con una grossa casa editrice come Feltrinelli, Einaudi o Baldini&Castoldi. Anche alla Dozza le condizioni di carcerazione sono difficili, i metodi arbitrari: gli venne rifiutato un lavoro. Horst accettò per un certo periodo di fare parte della redazione di “May day”, e con la sua esperienza di grafico impaginatore produsse magnifici elaborati per la tipografia dei detenuti, come il libro di ricette di cucina a tiratura limitata “Un curioso viaggio tra cibo e cultura”.
Il suo avvocato Luca Petrucci raccogliendo l’istanza di Horst, inoltrò la richiesta di grazia. Uscirono varie interviste. Ci furono due interrogazioni parlamentari, una a cura di Ersilia Salvato, l’altra di Paolo Cento. Gli vennero concesse le prime licenze. Poi la semilibertà. Abitava insieme a Pralina e circondato dai suoi cari, nella casa in via Roncrio che costruì suo padre Libero. Difficile trovargli un lavoro, poiché considerato un “soggetto poco affidabile” anche dai suoi stessi compagni di fede che lo guardavano con simpatia ma anche con diffidenza.
Ad ogni modo nel 2001 per interessamento dei “compagni comunisti” lavorava come magazziniere presso Altercoop, che si occupa di carta riciclata. Un lavoro dignitoso e stimato dai colleghi, ma che per regolamento non era remunerato dalla cooperativa bensì dagli stessi carcerieri (i quali spesso lo facevano aspettare per riscuotere lo stipendio), certamente inadatto alle sue condizioni fisiche e alla sua propensione, fantasia e straordinaria abilità tecnica a usare il computer, ma era l’unico lavoro disponibile ed era, soprattutto, l’unica condizione per uscire dal carcere.
Nonostante il vigore fisico e lo spirito incandescente che Horst conservava, dopo tanti anni di carcerazione, le sue condizioni di salute subirono un netto, progressivo peggioramento. Non avendo il diritto ad avere un medico della mutua, poiché tutto per un semilibero passa attraverso l’istituto penitenziario, non gli era possibile farsi prescrivere farmaci da “esterno”, e l’ipotesi di venire ricoverato poteva tradursi in un piantonamento in ospedale, oppure, in un ritorno in cella.
Il 19 dicembre 2001 tentò di rapinare la sua ultima banca, che in realtà era stata una delle prime, quella Agricola e Mantovana di Porta Mascarella, insieme al suo complice C.T., suo “fratello” e amico di sempre. Venne preso prima di entrare nell’agenzia, paludato da un bavero rialzato e un berretto calato, mentre tentava una disperata fuga in bicicletta, nelle sue tasche un cutter e un collant… nel giro di poche ore con una violenza incredibile venne distrutto quel fragile sogno costruito con amore… perquisita la sua abitazione, sbattuto in carcere con sospetto di “terrorismo”, alla sua compagna -perché non erano sposati ufficialmente- oltre allo shock indescrivibile, si aggiunse un altro problema non facilmente risolvibile, per raggiungerlo a colloquio: quello di definire la sua posizione davanti al giudice. Ma non ci fu tempo per aspettare il responso che avrebbe ricongiunto i due amanti: con le feste natalizie vengono chiusi i verbali dei burocrati.
Nonostante non sia avvenuto alcun pestaggio (i lividi sul corpo erano causati dalla sua fragilità capillare) le condizioni di salute aggravate dallo stress dell’arresto lo portarono rapidamente alla morte, sopraggiunta nell’infermeria della Dozza, il 24 dicembre alle 19.20 per aneurisma aortico addominale.
Durante l’udienza del processo per direttissima che confermò l’arresto, al suo avvocato, sapendosi alla fine, aveva detto che voleva “lasciare la casa a Pralina”.
I funerali in forma civile con musica e bandiere (come aveva chiesto) vennero celebrati alla Certosa di Bologna, il 29 dicembre 2001, mentre alla stessa ora, avveniva un presidio di protesta sotto il carcere della Dozza.
Venne cremato, per suo espresso desiderio: l’unico che fu rispettato.
La sua vicenda giudiziaria, per una serie interminabile di procedimenti in corso, aggravati da “finalità di terrorismo”, senza contare il resto delle condanne con aggiunta di altri anni di carcerazione che avrebbero potuto comminargli, (secondo verbali del Ministero dell’Interno, reperiti da Enzo Monteleone nel 1999) nel febbraio 2.017 era stabilito il “fine pena”. Per ipotetica somma si sarebbe potuto arrivare al 2.024, ma Horst ha deciso di evadere una volta per tutte.
Tratto dal sito ufficiale: http://www.horstfantazzini.net/biografia.htm