Novella di Erodoto:Il ladro del tesoro di Rampsinito

Novella tratta dalle Storie di Erodoto, storiografo greco vissuto nel V sec. a. C.

Dopo Proteo, dicevano i sacerdoti, salì al trono (d’Egitto) Rampsinito. Questo re, a quanto dicono, aveva tanta ricchezza d’argento, quale nessuno dei re che vennero dopo poté, non dico superare, ma nemmeno accostarlesi.
Volendo egli mettere i suoi tesori al sicuro, si fece costruire una camera di sicurezza in pietra, una delle cui pareti faceva parte della cinta esterna del palazzo. Quello che la costruiva, però, avendo dei progetti poco onesti, escogitò questa trovata: dispose uno dei massi di pietra in modo che potesse essere tolto dal muro con una certa facilità da due uomini e anche da uno solo.
Quando la sala fu condotta a termine, il re vi depose in serbo i suoi tesori.
Passato, poi, del tempo, il costruttore, che era sul punto di morte, chiamati a sé i suoi figli (ne aveva due), spiegò loro come, preoccupato che avessero essi i mezzi di vita in abbondanza, aveva giocato d’astuzia nel costruire per il re la sala del tesoro. Dopo aver loro fornito con esattezza tutte le informazioni necessarie sul modo di togliere la pietra, comunicò anche le misure, assicurandoli che, se avessero osservato fedelmente quanto aveva detto, sarebbero stati gli effettivi padroni del tesoro del re. Egli, poi, venne a morire e i suoi figli non aspettarono a lungo per mettersi all’opera. Avvicinatisi nottetempo al palazzo reale e individuato il masso nella costruzione esterna, facilmente lo smossero con le mani e portarono via gran parte dei tesori.Avendo, però, il re aperto per caso la sala, rimase stupefatto al vedere che dai vasi mancavano delle monete d’argento; né d’altra parte sapeva chi incolpare, dato che i sigilli erano intatti e la stanza l’aveva trovata chiusa. Ma siccome, essendovi entrato due e tre volte, trovava che i tesori continuamente diminuivano (i ladri, infatti, non smettevano di fare man bassa), ecco cosa fece: ordinò che si apprestassero dei lacci e che si disponessero intorno ai vasi contenenti i preziosi.
Vennero i ladri come per l’innanzi e uno di essi penetrò dentro ma, quando fu vicino a un vaso, subito rimase impigliato nel laccio.
Quando ebbe egli l’idea esatta del pericolo in cui si trovava, subito chiamò il fratello, lo mise al corrente della situazione e lo incitò a entrare al più presto e tagliargli la testa, affinché, visto e riconosciuto chi era, non trascinasse con sé nella rovina anche lui.
Questi ritenne che la proposta fosse buona, e, lasciatosi convincere, la eseguì; poi, adattata di nuovo la pietra mossa, se ne tornò a casa, portando la testa del fratello.
Quando fu giorno, il re, che era entrato nel tesoro, rimase strabiliato a vedere tra i lacci il corpo del ladro senza testa e l’edificio intatto, che non presentava né entrata né uscita.
Nel più grande imbarazzo si comportò così: fece appendere giù dalle mura il cadavere del ladro e, postivi degli uomini a guardia, comandò loro che, se vedevano qualcuno piangere o lamentarsi, lo prendessero e lo conducessero al suo cospetto.
Quando il cadavere cominciò a penzolare, la madre del ladro non poté resistere e, venuta a parole col figlio rimasto in vita, gli impose che, in qualunque modo, facesse di tutto per staccare dal muro il cadavere del fratello e portarlo a lei. Se non se ne fosse interessato, lo minacciava di recarsi essa stessa dal re a denunciare che egli aveva i tesori.
Il figlio superstite, messo così aspramente alle strette dalla madre, poiché, nonostante adducesse molte ragioni, non riusciva a dissuaderla, ricorse a questa astuzia.
Procuratisi alcuni asini e riempiti degli otri di vino, li caricò sulle bestie, che spingeva avanti a sé. Quando giunse vicino a quelli che facevano la guardia al cadavere appeso, avendo tirato due o tre cinghie degli otri, ne sciolse i nodi che li tenevano stretti: il vino scorreva ed egli a battersi il capo ed emettere alti lamenti, come se non sapesse a quale degli asini rivolgersi per primo. I soldati di guardia, a vedere il vino scorrere con tanta abbondanza, accorsero sulla strada con dei recipienti e si portarono via il vino versato, considerandolo una vera fortuna.
Il padrone, fingendosi irato, distribuiva impropèri a tutti, ma poi, siccome le guardie lo consolavano, dopo un po’ finse di mitigarsi e di lasciar sbollire l’ira, infine, spinse egli stesso gli asini fuori dal sentiero e si mise ad assestarli.
Fattasi più serrata la conversazione, a qualche battuta di spirito anch’egli sbottò a ridere e offrì loro uno degli otri: quelli, sdraiati lì come si trovano, pensano solo a bere; traggono il ladro con sé e lo invitano a restare a bere in loro compagnia: egli si lascia persuadere e rimane; e siccome mentre bevevano lo trattavano da amico, egli diede loro in dono un altro otre; sicché le guardie approfittando della generosa libagione, si ubriacarono completamente e, vinti dal sonno, si addormentarono sul posto stesso dove bevevano.
Quello, allora, dato che era già notte inoltrata, staccò il cadavere del fratello, lo pose sopra gli asini e, dopo aver rasata, per scherno, la guancia destra a tutte le guardie, se ne tornò a casa, avendo in tal modo eseguito ciò che la madre gli aveva comandato.
Il re, quando gli fu riferito che era stato sottratto il cadavere del ladro, ne fu molto irritato e, volendo a ogni costo trovare colui che architettava questi colpi, ecco che cosa fa, ma io non riesco a crederlo.
Colloca sua figlia in una casa pubblica, con l’ordine di accogliere allo stesso modo tutti i visitatori ma, prima di intrattenersi con loro, obbligarli a raccontare l’azione più intelligente e la più scellerata che avessero commesso nella loro vita. Quello che avesse narrato le cose avvenute intorno al ladro, lo doveva trattenere e non lasciarlo uscire dalla casa. Mentre la figlia del re eseguiva gli ordini impartiti dal padre, il ladro, che aveva compreso per quali ragioni ciò si faceva, e voleva superare il re in astuzia, ecco cosa ti combina.
Dopo aver reciso, all’altezza della spalla, il braccio di uno che era appena morto, se ne andò tenendolo sotto il mantello. Presentatosi alla figlia del re e interrogato anche lui come gli altri, raccontò che l’azione più scellerata l’aveva commessa quando, nella sala del tesoro del re, aveva tagliato la testa di suo fratello, impigliato nei lacci; la più intelligente quando, ubriacati i guardiani, aveva staccato dal muro il cadavere del fratello che vi era appeso.
Come ebbe udito ciò, la donna volle mettere la mano su di lui, ma il ladro, nel buio, le protese il braccio del morto, che essa afferrò e trattenne, convinta di stringere il braccio di lui. Invece, il ladro, libero, presa la porta, se ne fuggì.
Quando anche questa beffa gli fu riferita, il re rimase addirittura sbalordito per la scaltrezza e l’audacia di quell’uomo; infine, mandò per tutte le città a dire che non solo gli concedeva l’impunità, ma avrebbe anche aggiunto grandi doni, se fosse venuto alla sua presenza.
Il ladro, fidando nella sua parola, venne a lui; e Rampsinito, preso da grande ammirazione, gli diede in moglie la figlia di cui si è parlato, come all’uomo che ne sapeva più di tutti al mondo: infatti se gli Egiziani superano per intelligenza gli altri, egli superava gli Egiziani stessi.

(Le storie 2. 121: traduzione di Luigi Annibaletto)

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