Grecia – Lettera del compagno Rami Syrianos
La scorsa settimana, il compagno Rami Syrianos – arrestato a Salonicco il 31 Gennaio dopo una rapina ad un’asta pubblica – ha diffuso la sua prima lettera aperta.
Senza dubbio, stiamo vivendo un altro periodo contrassegnato dell’aggiustamento delle condizioni di vita di questo mondo. La vetrina lucente del capitalismo si è rotta e ha rivelato cosa sta dietro: un processo di putrefazione e decadenza. Le speranze democratiche e le promesse capitaliste sono scivolate via velocemente lungo la fittizia prosperità (tramite prestiti) dei decenni-periodi d’oro del capitalismo. La “terra promessa” – completa di piscine private, due macchine e quattro televisori – è scomparsa, rimpiazzata da un grigio deserto di depressione, disperazione, insicurezza e paura. Il dominio, mostrando una adatta flessibilità, si sta ritirando in un nuovo tipo di totalitarismo digitale – rafforzandosi con nuove unità poliziesche, database biometrici, e più nuovi ed elastici gruppi di leggi “antiterroriste” – tutto nel tentativo di corazzarsi contro il nemico, il quale sta minacciando la già così fragile pace sociale. L’”invisibile” campo sociale di lavoro forzato è diventato una prigione di massima sicurezza, mentre la coesione sociale costruita negli anni sta di nuovo cambiando le regole sulla quale è basata e si interroga sull’accesso al benessere e al consumo; si interroga sulle promesse e le speranze dell’ascesa sociale e del riconoscimento; interrogandosi sul ruolo del lavoro salariato come mezzo per soddisfare necessità e desideri, come un biglietto per la soddisfazione in un mondo di sogni e sensazioni consumistici.
Il lavoro non è semplicemente ed esclusivamente un processo economico che rende vendibile l’attività umana. A causa del suo carattere totalitario, esso si impone una condizione generalizzata e universale che crea e forma le relazioni e le coscienze. Dando al lavoro un nuovo significato – trasformandolo nei mezzi della raggiunta ascesa sociale e del soddisfacimento delle promesse capitaliste di partecipazione al consumo – il Potere ha ridefinito e ristabilito i suoi discorsi fondamentali nelle menti dei suoi sudditi, diffondendoli e amplificandoli, e consolidandoli ora tra le classi sociali. Una retorica sbagliata circa “l’uomo d’affari che fa la propria fortuna da solo” e circa il raggiungimento del riconoscimento sociale tramite i prestiti bancari, ma anche circa il benessere tramite il consumo, ha trovato un terreno fertile nelle orecchie attente per la coltivazione di una coscienza cannibale il cui valore supremo è la ricerca spietata – anche passando sui morti – del prestigio, potere e benessere. La vecchia classe operaia è diventata una comitiva di proprietari piccolo-borghesi che identificano i propri interessi con quelli del sistema, poiché a parte le loro catene (ora fatte di plastica e in forma di prestiti) hanno da perdere anche i loro confort e il loro status sociale. Sotto i termini del consenso generalizzato che sta prendendo forma, le tradizionali forze repressive si stanno “ritirando” (sebbene esse continuino a svilupparsi in segreto) e una campagna di decadenza e isolamento è stata lanciata, diffusa dagli stili di vita prefabbricati, dall’accesso ai centri dell’intrattenimento, dal riconoscimento sociale e dalla felicità consumistica. La pace sociale è garantita dalla soddisfazione dei nuovo desideri collettivi di una classe che, affamata di consumare prodotti e immagini, si è abbandonata ad un’esistenza orgiastica privata di ogni significato. Questo è un periodo nel quale la povertà esistenziale sta diventando molto estrema, l’isolamento e il pensare solo a se stessi si stanno riversando nelle coscienze della gente, e la vita gradualmente sta perdendo tutto il significato – imprigionata dalle ore di lavoro, dai “reality show” televisivi, dagli intrattenimenti standardizzati e dalle immagini di una felicità fittizia. Comunque, questo partito ha una data di scadenza. E’ giunto il momento di pagare il conto, e sarà pagato aggravato dalla commissione.
Le nuove condizioni sociali hanno preso forma per compiere il passo dall’internazionalizzazione del controllo (che è stata possibile a causa dell’accesso al potere e ai beni consumistici) all’internazionalizzazione dell’obbedienza tramite la paura, l’insicurezza, le incerte ore di lavoro, la disoccupazione, e le immagini di intere aree occupate dalle polizie mercenarie. Usando le crisi finanziarie internazionali come pretesto, un tentativo di scala mai vista è stato fatto per ridistribuire il benessere verso gli strati sociali più alti e contemporaneamente per ristrutturare l’intero assemblaggio delle relazioni sociali. L’immagine fittizia dell’agiatezza si sta frantumando, così come le speranze che l’hanno accompagnata e al suo posto si profila la visione di un inesorabile futuro. La paura e l’incertezza stanno rimpiazzando le promesse che sono state il motore della macchina sociale, affondando le loro radici nella mente dei soggetti che recentemente sono stati abbastanza quieti, ma che ora stanno assistendo alla disintegrazione dei loro “paradisi sulla terra” fatti di prestiti, notando come sono toccati dal destino a cui essi stessi – turbati da tutto il sangue versato sulle loro strade per il progresso e la felicità – hanno condannato a loro volta la gente che viva ai margini del capitalismo. Il lavoro salariato, caposaldo del diffuso cambiamento sociale, è stato demistificato e privato del suo “modo di andare avanti ed essere felici”. Quindi, il suo vero volto – la sua natura – è ora del tutto rivelata: un forzato processo di sfruttamento della produzione di ineguaglianza. Sotto queste condizioni, con la demolizione poco per volta dei meccanismi tradizionali del consenso che precedentemente funzionavano in accordo con la pianificazione, con la coesione sociale che diventa sempre più fragile, il Dominio sta imponendo un discorso ostile. Sta dichiarando un permanente stato di emergenza e si sta fortificando dietro le nuove e flessibili leggi “antiterroriste”, datatesi biologici, sistemi di sorveglianza, e centinaia di nuovi contratti con polizie mercenarie pronte a imporre un nuovo totalitarismo.
Il ritorno di pratiche insurrezionali in tutto il mondo, il riapparire della guerriglia urbana, i cortei combattivi e gli scontri ovunque, le rivolte nel mondo arabo, la crescente sfiducia nel ruolo intermediario del regime giocato dalla Sinistra, e il ritorno di forme più radicali di lotta: Tutte queste cose ci ricordano che l’impegno per un cambiamento rivoluzionario non si è mai perso né dimenticato. Inoltre, sta entrando nell’arena ancora una volta, più urgente e vitale che mai. Le persecuzioni criminali, gli imprigionamento, e gli omicidi di quelli che lottano non sono i risultati di un attacco sferrato dal Dominio. Essi costituiscono i suoi sforzi difensivi, intrapresi per affrontare le crepe in continua espansione in tutte le sue fondamenta, mentre la gente perde giorno dopo giorno fiducia nell’idea della sua onnipotenza.
Il 31 Gennaio, mentre fuggivo dopo una rapina ad un’asta di veicoli organizzata dal Public Asset Management Agency AE (che conduce una larga fascia di diverse aste ed è responsabile della svendita di macchine, moto, e molti altri beni confiscati dai porci o dai doganieri), sono stato circondato e arrestati dai porci in uniforme del reparto DIAS. Mi hanno portato alla stazione di polizia di Salonicco, dove mi sono state lasciate solo le mutande, ammanettato dietro la schiena, e messo al muro per circa sette ore mentre alcuni agenti sotto copertura e altri porci si univano allo spettacolo per vedermi. Io mi sono rifiutato sempre di dire qualsiasi cosa eccetto che sono un anarchico, mi sono rifiutato anche di farmi prendere impronte digitali e fotografie.
Dopo mi hanno portato a casa, dove hanno perquisito per cinque ora prima che tornassimo alla stazione di polizia. Una volta tornati lì, una dozzina di porci mi ha circondato e il loro capo ha detto di iniziare l’interrogatorio e l’umiliazione dei principi in stile “chiacchierata amichevole”, durante la quale ho sentito schifezze del tipo: “Noi siamo i veri rivoluzionari e tu sei solo un fallito”, “Noi siamo contro le banche (!), “Mentre tu ti rifiuti di aiutarti, l’altro ha già parlato”, ecc. Come possiamo vedere, i vecchi cliches non muoiono mai. L’unica cosa che ho detto loro ripetutamente è che sono un rivoluzionario anarchico e che loro non sono altro che dei teppisti del Potere – lacchè senza cervello della legge che umiliano, torturano, e uccidono in cambio di uno stipendio. Quando s’è fatto giorno, dopo essermi sentito con il mio avvocato ho scoperto che – a causa di un numero di telefono scritto su un foglietto che sfortunatamente ho dimenticato addosso, avevano arrestato un’altra persona che so appartenere al movimento antiautoritario, e che i mass media avevano diffuso le foto di entrambi. Dopo ci hanno portato in tribunale, facendo uno spettacolo shockante come sempre. Ci hanno messo addosso dei giubbotti antiproiettile, con porci in passamontagna impanicati come se uscissero da una scena di un film d’azione hollywoodiano a basso costo. L’unica cosa che ho detto al giudice dell’udienza è stata che ho fatto ciò che ho fatto come anarchico all’interno del rifiuto del lavoro, e che l’altra persona accusata non ha nulla a che fare con il caso. Hanno deciso di mettermi in carcerazione pre processo, mentre l’altro compagno è stato rilasciato visto che dozzine di testimoni hanno detto che stava lavorando al bar autogestito del Politecnico al momento della rapina.
Rubare al Public Asset Management Agency AE è stata una onorabile espressione del mio rifiuto di sottomettermi alla realtà oppressiva e sbagliata imposta dallo spazio e dal tempo ridotto a pezzi; imposta dalle ore di lavoro e da accordi predeterminati; importa dal coercitivo “tu devi” ordinato dai padroni in risposta all’alienato “io voglio” espresso dai loro subordinati; imposta da un processo di produzione che trasforma la gente in parti viventi per il macchinario dello sfruttamento di immagini e prodotti. Rifiutando il ruolo di vittima dello sfruttamento applicato dai piccoli e grandi padroni allo stesso modo, così come il ruolo di agnello sacrificale o collaboratore dello sfruttamento stesso; ammalato dell’etica lavorativa del “povero ma onesto” così come dell’arroganza ambiziosa della “carriera di successo”; percependo l’intero complesso di relazioni sociali come un risultato alienato della produzione capitalista, ho deciso di agire individualmente, gettandomi nel processo polimorfico rivoluzionario anarchico, parte del quale è il rifiuto del lavoro. Il rifiuto del lavoro non può essere solo una scelta spensierata separata da una rottura generalizzata con la gerarchia, e ovviamente questo rifiuto non è necessariamente definito dai suoi metodi (una rapina, per esempio). La rapina e il furto possono facilmente degenerare in un lavoro, con ore fissate e tutto ciò che comporta: la stessa arroganza dei ricchi, la partecipazione al consumismo, la frammentazione del tempo in accordo con le “ore di lavoro” e lo sviluppo di una identità professionale (criminale). Rapine, sequestri, espropriazioni individuali o collettive di beni, sabotaggi, attacchi contro obiettivi economici, esperienza di vita collettiva, e liberi mercati di strada sono tutti metodi che danno senso al completo rifiuto del mondo del lavoro, della produzione, del consumo, ma solo se aumentano la consapevolezza che conduce al supporto di una lotta rivoluzionaria più ampia per la liberazione individuale e collettiva.
Come parte di questo movimenti polimorfico, adesso mi trovi imprigionato nelle segrete di Ioannina, pagando il prezzo per le mie scelte. L’unica cosa che rimpiango è di non fare molto fuori da queste mura.
Non un solo passo indietro.
Rami Syrianos, Prigione di Ioannina, Aprile 2011