21 giugno 2011
Tunisia – Ieri sera l’ex presidente tunisino Zine al-Abidine Ben Ali è stato condannato in contumacia a 35 anni di carcere. La sentenza, emessa da un tribunale di Tunisi, è arrivata sei mesi dopo le rivolte di piazza che hanno infiammato la Tunisia, costringendo Ben Ali, il 14 gennaio scorso, ad abbandonare il potere e fuggire in Arabia Saudita, dove tutt’ora si trova. Ben Ali è è stato riconosciuto colpevole di furto e possesso illegale di gioielli e di una vasta somma di denaro. Con la stessa sentenza è stata condannata anche sua moglie, Leila Trabelsi, una ex parrucchiera. Lo stile di vita della donna, lussuoso ed eccessivo, è sempre stato visto dai tunisini come il simbolo della corruzione al potere.L’ex presidente e la moglie si trovano ora in Arabia Saudita. Il nuovo governo tunisino già lo scorso febbraio ne aveva chiesto l’estradizione, ma l’Arabia Saudita non ha mai risposto alla richiesta.
In un comunicato diffuso dai suoi legali, l’ex presidente tunisino si è difeso, respingendo tutte le accuse e affermando di essere vittima di un complotto politico.
Ben Ali è stato al potere per 23 anni, durante il suo governo molti membri della sua famiglia si sono arricchiti a dismisura, accumulando ogni genere di fortune. Le rivolte popolari, ad opera soprattutto di giovani disoccupati, sono scoppiate in Tunisia alla fine del 2010. L’episodio che ha fatto scattare la scintilla della rivoluzione è stato il gesto disperato di un giovane venditore ambulante, Mohamed Bouazizi, di 26 anni, che per protestare contro il sequestro del suo bancone da parte della polizia, il 17 dicembre si è cosparso di benzina e si è dato fuoco, morendo in ospedale, a causa delle gravi ustioni riportate, il 4 gennaio 2011.
Da lì sono seguite manifestazioni e violenti scontri con le forze di polizia che hanno portato alla caduta del regime di Ben Ali e inaugurato la cosiddetta “primavera araba”. Dopo la Tunisia, proteste e rivolte sono scoppiate in tutto il mondo arabo, fino a portare anche in Egitto, l’11 febbraio 2011, appena un mese dopo la fine del regime di Ben Ali, alla caduta del presidente Hosni Mubarak. Anche Mubarak sarà presto processato nel suo Paese.
Nel frattempo, altri Paesi arabi continuano ad essere in preda alle rivolte, soprattutto la Siria, dove il presidente Assad ha messo in atto una sanguinosa repressione, e la Libia, dove il massacro degli insorti da parte di Gheddafi ha provocato l’intervento della comunità internazionale, con una serie di bombardamenti iniziati lo scorso 19 marzo e ancora in corso sotto il comando della Nato.
I problemi che hanno scatenato le rivolte sono più o meno gli stessi in tutti questi Paesi e dipendono dal rialzo dei prezzi dei beni di prima necessità, per colpa della crisi economica mondiale, soprattutto del pane (il prezzo dei cereali è legato a quello del petrolio, in forte aumento nell’ultimo anno), tanto che si è parlato di guerra del pane, l’alta disoccupazione, anche e soprattutto tra giovani laureati, e la presenza soffocante di regimi repressivi, sempre meno tollerati dai cittadini.
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