Luciano Lutring
LucianoLutring detto “il solista del mitra” in Italia, e “il pericolo pubblico numero uno” in Francia, ha vissuto gli anni neri tra il sessanta ed il settanta ed ha avuto una storia davvero romanzesca.
Nasce il 30 dicembre 1937 a Trieste, da padre ungherese e madre milanese. I genitori si trasferiscono poi a Milano dove, in via Novara, conducono un bar latteria. E’ qui che Luciano, adolescente, fa le sue scelte: visto che la stoffa dello studente o del lattaio, proprio non l’ha, guarda altrove e prende a modello due cugini: Mario e Piero. Il primo è affiliato alla famigerata banda di “Gino lo zoppo”, l’altro alla meno nota combriccola di “Dino il paracadutista”. Luciano comincia l’apprendistato intorno ai quindici anni, lavorando per un ambiguo personaggio che in alcune zone della città e della provincia detiene il monopolio delle “macchinette mangiasoldi”. Suo compito è quello di andarci a giocare per romperle cosicché il datore di lavoro verrà poi chiamato a ripararle o sostituirle. Per arrotondare si mette anche a rubare motorette e così rimedia qualche denuncia per atti di teppismo e furto. Il ragazzo ci sa fare, e finisce con l’essere adocchiato dal “barone”. Costui, abiti e atteggiamenti da gran signore, lo mette, come autista, al volante di una Cadillac, e insieme vanno a rubare polli all’ingrosso. Il capace bagagliaio del vetturone americano ne contiene qualche quintale e se la polizia ferma l’auto per un controllo, davanti al “barone” con autista si intimidisce e non pensa a perquisire. E’ un primo salto di qualità e, nei ritagli di tempo, Luciano può darsi ai suoi due hobby: donne e motori.
Assetato di protagonismo, in night club e dancing fa suoi orchestrali, eintraineuses e camerieri distribuendo regolarmente mance mai inferiori a cinquemila lire.
Diventa così “l’americano” e in tasca, mostrandola senza mai usarla, si porta una P38 regalatagli dal “barone”.
In breve lo champagne se lo concede anche fuoriporta: un po’ sulla Costa Azzurra e un po’ sulla Riviera ligure o adriatica. E qui, nel 1957, a Cesenatico, incontra la donna del destino: Elsa Candida Pasini, in arte Yvonne, valtellinese, indossatrice a Zurigo. Si innamora perdutamente della bellissima dagli occhi verdi e, pur concedendosi varie scappatelle con le frequentatrici dei soliti night, ne fa la sua donna e la sposa nel 1959, dopo aver trascorso sei mesi nelle carceri di San Vittore. In seguito alla morte della madre sembra mettersi sulla retta via: un po’ lavora presso una ditta di autotrasporti, un po’ fa il taxista abusivo. Ma dura poco: con tali entrate non può permettersi champagne, auto di grossa cilindrata e abiti costosi per la sua donna. Essendo il “barone” finito a San Vittore, passa a svaligiare o rubare auto e a fracassare vetrine.
Raggiunto da una condanna per furtarelli commessi a Crema e a Busto Arsizio nel 1962, l'”americano”, che ha già conosciuto la dura vita della galera, si sottrae alla cattura cambiando domicilio o pensione, sempre in compagnia della moglie.
E da questo momento sarà sempre e soltanto un fuggitivo. Sulle prime la latitanza è facile: i giornali non si sono mai occupati di lui e per la polizia non è un grosso ricercato da braccare.
Così, fuggendo e facendo colpi di piccola entità, grazie anche alla moglie ben introdotta in certi night, nel 1963 conosce quelli del “milieu” marsigliese e, a Milano, nasce una banda capeggiata da Giovanni Vitetta, detto “Janot” e Luciano Lutring: cervello il primo, braccio armato il secondo.
La banda ha nel 1964 il suo anno d’oro.
Il 1 luglio la polizia, che gli si è messa alle costole per una rapina a due orefici avvenuta a Trieste, piomba in via Ressi in casa di un’amichetta di Lutring e trova un mitra ben lubrificato in una custodia di violino. La donna, arrestata per favoreggiamento, si lascia sfuggire l’indirizzo del ricercato, ma quando gli agenti gli arrivano in casa, questi riesce a saltare dalla finestra per montare sulla solita auto di grossa cilindrata e filaserla.
V’è quanto basta per scatenare la fantasia dei cronisti: Lutring che non ha mai sparato se non con la sparachiodi per infrangere vetrine diventa “il solista del mitra”.
E la vita per lui si fa improvvisamente dura: i favoreggiatori li deve pagare e i ricettatori divengono meno disponibili.
Inoltre fa anche di tutto per restare al centro dell’attenzione generale: dal momento che la polizia insiste per interrogare Yvonne per sapere dove si nasconde il compagno, questi telefona a un giornale per proclamare che se non la smettono di perseguitare sua moglie farà rappresaglie contro il questore e i suoi familiari.
I soldi per sostenere la latitanza non bastano mai: il tre luglio infrange la vetrina di un’armeria di Bologna e si prende tre pistole (tutte recuperate in occasioni diverse dallla polizia) quindi, in meno di due mesi, rapina trenta milioni in pellicce in un negozio di Rimini, venticinque milioni in contanti in un’agenzia della Banca Commerciale di Bologna, trenta milioni in gioielli in un’oreficeria di Salsomaggiore, cinque milioni in contanti nella succursale della Banca di Risparmio di San Pietro in Vincoli (Ravenna) facendo anche un nutrito numero di furti d’auto e diverse spaccate in vetrine d’oreficeria a Milano, a volte con la collaborazione dalla moglie.
Ma non basta: nello stesso periodo, a Rimini in costume da bagno e con Yvonne, sfugge a bordo di una Cadillac 5000 ai Carabinieri.
Poi, qualche giorno dopo, oltre Baggio, all’estrema periferia di Milano, in un regolamento di conti, ferisce a coltellate Vittorino Magro, ex tuta blu della famosa banda di via Osoppo, da poco uscito di prigione.
La polizia cerca il “solista del mitra” in tutta Italia, perché è segnalato ovunque e il 12 settembre lo rintraccia, non si sa se casualmente o per una spiata di Magro, che si è ripreso e vorrebbe volere vendetta, in una pensione di via Ceroni, a Milano.
Ma anche in questa occasione, Lutring riesce a fuggire con Vitetta e altri due complici. Ormai siamo alla mobilitazione generale perla caccia all’uomo. A Lutring viene attribuito tutto e in tutta Italia: c’è anche qualche teste che lo riconosce e anche lo accusa di questo o quel colpo. Così, mentre a Lutring si accollano anche le rapine dell’ancora ignota e temibile banda dei “bravi ragazzi di Angera” capeggiata da Tonella, il fuggitivo è invece in Francia.
Il 6 dicembre del 196, a Moulins, gli si attribuiscono uno scontro a fuoco e il ferimento di un agente: sarebbe la prima volta che il “solista” spara.
Il solista cade, quasi alla “rifiìi” il 2 settembre 1965.
Così, per l’occasione, titola il Corriere della Sera:
– occhiello: Conclusa nel sangue la lunga fuga dell’inafferrabile fuorilegge;
– titolo: Lutring ferito e catturato a Parigi dopo un a sparatoria con la polizia francese;
– sommario: «Era in auto con un belga e un algerino quando due poliziotti gli hanno intimato l’alt in un boulevard del centro.
I complici si arrendono, ma il bandito apre il fuoco e abbatte un brigadiere.
Raggiunto a sua volta da una pallottola, il criminale rapina un’automobile a un gendarme ma viene tamponato da un’autogru della polizia, ed è costretto a riprendere la fuga a piedi.
Guidati dalle chiazze di sangue gli agenti lo rintracciano alfine nascosto in un portone.
E’ all’ospedale in gravi condizioni».
Al processo, a Parigi, Lutring nega di essere il feritore di Moulins e, per avvalorare la tesi, tenta seriamente di suicidarsi in carcere, col Gardenal. Ripresosi, dalla Santé dove sta scontando la condanna, invia clandestinamente alla moglie un manoscritto in cui racconta la sua vita trascurando di soffermarsi sulle imprese addebitategli. Il libro, al quale ne seguiranno altri due, ha poca fortuna. Ha più successo una lettera inviata a Pompidou che, dopo un anno di silenzio, gli concede la grazia.
Estradato in Italia, nel dicembre 1971, a San Vittore, dopo aver lasciata libera la moglie, tenta di suicidarsi impiccandosi. Viene salvato in extremis.
Non avendo avuto molta fortuna con la letteratura, Lutring si mette a dipingere. Seguono personali, mostre e premi, cosicché si delinea l’immagine di unbandito leggendario, in gran parte costruito dai mezzi d’informazione, che tenta il riscatto attraverso l’arte.
Finisce che, nel 1977, il presidente Leone, seguendo l’esempio di Pompidou, gli concede la grazia. Appena libero Lutring rimane protagonista negativo suo malgrado: il gallerista lo accusa di non aver mai dipinto e afferma che l’ex “solista” ha soltanto firmato quadri eseguiti da un compagno di pena. I giornali continuano ad occuparsi di lui che però respinge sdegnato le accuse. A Milano continua a dipingere e apre pure in società un ristorante al quale deve poi rinunciare per la legge antimafia. E’ certa comunque una cosa: da quando ha ottenuto la grazia, Lutring non ha più nulla a che fare con la legge.
Oggi Lutring è un uomo tranquillo, vive in campagna con le sue due figlie dipingendo. Ha pubblicato la sua autobiografia “Il solista del mitra” e due romanzi “La reincarnazione” e “Lo zingaro”, dal quale è stato tratto un film con Alan Delon. Ha perso un figlio in un incidente alcuni anni fa.